giovedì 26 febbraio 2015

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Apocalissi culturali: tavola n. 15
da "La fine del mondo" di Ernesto De Martino"

INTERSEZIONI:
Robert Musil, L’uomo senza qualità

“Quest’ordine non è saldo come finge di essere, nessun oggetto, nessun io, nessuna forma, nessun principio è sicuro, tutto subisce un’invisibile ma incessante trasformazione, vi è nell’instabile una maggior porzione d’avvenire che nello stabile, e il presente altro non è che un’ipotesi non ancora superata.”

domenica 22 febbraio 2015

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Apocalissi culturali: tavola n.14
da "La fine del mondo" di Ernesto De Martino
INTERSEZIONI:

Thomas Browne, Religio medici
“L’arte è il perfezionamento della natura: se il mondo fosse ora come lo era al sesto giorno, ci sarebbe ancora un caos: la natura ha fatto un mondo e l’arte ne ha fatto un altro. In breve, le cose sono tutte artificiali, poiché la natura è l’arte di Dio.”

Gunther Anders, Amare ieri

“-Ma la morale è qualcosa di assolutamente artificiale!- ha esclamato una delle studentesse prodotte in serie. –Certo. Ma perché è un rimprovero? La morale vuole essere artificiale; e deve essere artificiale; artificiale come la sua automobile, che non ha raccolto certo dall’albero, o della sua macchina da scrivere, o della sua teoria. L’artificialità non è lo scandalo, ma il punto d’onore della morale. Poiché noi uomini non siamo creati in modo compiuto: certo, siamo generati come esseri sociali, ma senza che per noi sia prevista una determinata forma sociale, dobbiamo costruire autonomamente la forma e le sue regole; il che significa ‘artificialmente’. Forse, se noi uomini abbiamo una ‘natura’, questa artificialità fa addirittura parte della nostra ‘natura’.

lunedì 16 febbraio 2015

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Apocalissi culturali: tavola n. 13















da "La fine del mondo" di Ernesto De Martino

Intersezioni:
Paolo Virno, postfazione a “Gilbert Simondon, L’individuazione psichica e collettiva”

Nel collettivo, così sembra, la singolarità si stempera, è menomata, regredisce. Ebbene, a giudizio di Simondon, questa è una superstizione: epistemologicamente ottusa, eticamente sospetta. Una superstizione alimentata da coloro che, trascurando con disinvoltura la questione del processo di individuazione, presumono che il singolo sia un immediato punto di partenza. Se invece si ammette che l’individuo proviene dal suo opposto, cioè dall’universo indifferenziato, il problema del collettivo prende tutt’altro aspetto. Per Simondon, contrariamente a quanto asserisce un senso comune deforme, la vita di gruppo è l’occasione di una ulteriore e più complessa individuazione. Lungi dal regredire, la singolarità si affina e tocca il suo acme nell’agire di concerto, nella pluralità delle voci, insomma nella sfera pubblica.

mercoledì 11 febbraio 2015

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Apocalissi culturali: tavola n. 12















da "La fine del mondo" di Ernesto De Martino

INTERSEZIONI:
Pier Paolo pasolini, Le ceneri di Gramsci
“Ma io, con il cuore cosciente
di chi soltanto nella storia ha vita,
potrò mai più con pura passione operare,
se so che la nostra storia è finita?”

lunedì 9 febbraio 2015

11

Apocalissi culturali: tavola n.11














da "La fine del mondo" di Ernesto De Martino

INTERSEZIONI:
Judith Butler, Critica della violenza etica
“prima ancora di acquisire un ‘io’, io sono un essere che è stato toccato, spostato, nutrito, cambiato, messo a dormire, costituito come oggetto e soggetto di parole. Il mio corpo infantile, appena nato, non è stato solo toccato, spostato e sistemato, ma queste intrusioni hanno operato come ‘segni tattili’ che si sono depositati nella mia formazione. E tali segni mi comunicano in modi che non sono riducibili alla verbalizzazione. Sono segni di un altro (o meglio di un’altra), ma sono anche tracce da cui un ‘io’ eventualmente emergerà, un ‘io’ che non sarà mai in grado di ri(s)coprire o rileggere pienamente questi segni, e per il quale questi segni resteranno in parte qualcosa di opprimente e di illeggibile, di enigmatico e formativo.”

sogni di terra

Ernesto De Martino, La fine del mondo:

“La nostra esperienza cosmogonica ebbe inizio attraverso il calore del corpo materno, quando cominciò oscuramente a delinearsi secondo il confine della pelle, l’orizzonte di una patria. Nello sfondo affettivo di quel calore diffuso conquistammo la nostra bocca succhiando il latte, e come bocca emergemmo nell’ingordo piacere della nutrizione. Sotto la carezza della mano materna si venne descrivendo e precisando la superficie del nostro corpo, così come per l’immagine del volto materno conquistammo l’umanità del vedere, del riconoscere, del sorridere: “incipe, parve puer, risu cognioscere matrem”. Il primo spazio percorribile si rivelò a noi in quello che la madre cullandoci ci offriva e sottraeva in tempi uguali, addolcendolo con le sommesse iterazioni della ninna nanna: uno spazio modello di sicurezza, nel quale al muoversi era risparmiata ogni nostra iniziativa e l’andata si cancellava sempre di meno nel ritorno, e lo stesso suono della voce amica aiutava a comporre un divenire in economia. In questo spazio e per questo moto destorificati, che facevano da dolce ponte verso l’indistinto e la quiete conquistammo il sonno umano di tanto più problematico e bisognoso di protezione e di difesa che non il sonno delle bestie. Attraverso la madre conquistammo anche il pianto e il dolore per il suo seno desiderato o conteso o perduto, e soprattutto per la sua figura scomparsa che ci spalancava la prima solitudine cosmica, annunzio e al tempo stesso pedagogia di una lunga serie di distacchi di cui si sarebbe poi intessuta la nostra vita fino alla morte.”

giovedì 5 febbraio 2015

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Apocalissi culturali: tavola n. 10














da "La fine del mondo" di Ernesto De Martino

INTERSEZIONI:
Franz Kafka, Confessioni e diari
“l’impossibilità di dormire, impossibilità di vegliare, impossibilità di sopportare la vita o più esattamente la successione nella vita. Gli orologi non vanno d’accordo, quello interiore corre a precipizio in un modo diabolico e demoniaco o in ogni caso disumano, mentre quello esterno segna faticosamente il solito ritmo”

lunedì 2 febbraio 2015

9

Apocalissi culturali: tavola n. 9














da "La fine del mondo" di Ernesto De Martino 

INTERSEZIONI:
Ingmar Bergman, Come in uno specchio

“Al mattino presto sono svegliata da una voce che mi chiama imperiosamente. Mi alzo e vengo in questa stanza. E’ precisamente al sorgere del sole, ed io ho un’enorme nostalgia ed un enorme potere. Un giorno c’era qualcuno che mi chiamava proprio dietro la tappezzeria ed io guardai nel guardaroba ma non c’era nessuno. La voce continuava a chiamarmi ed io allora mi appoggiai alla parete che si aprì come se fosse del fogliame ed io mi trovai là dentro.” 

Marguerite Duras, La vita materiale

“Ero in cucina, lei ha appeso il cappotto all’attaccapanni ed è venuta a raggiungermi. Abbiamo chiacchierato e io le ho parlato delle visioni che avevo. Lei ascoltava, non diceva niente. Le ho detto: - Io ci credo ma non riesco a convincere gli altri. – E ho aggiunto: - Si giri, guardi la tasca destra del suo cappotto sull’attaccapanni. Lo vede il cagnolino appena nato che sbuca fuori tutto roseo? Beh, loro dicono che mi sbaglio. – Lei ha guardato bene, si è girata verso di me, mi ha fissato a lungo e poi ha detto, senza ombra di sorriso, con la più grande serietà: - Le giuro Marguerite, su quello che ho di più caro al mondo, che io non vedo niente. – Non ha detto che non c’era niente, ha detto: - Io non vedo niente. – E’ stato allora forse che la follia si è rivestita di una certa ragione.”